Perché lamentarsi è Social, essere felici no

Valentino G. Colapinto
Il futuro è delle Cassandre
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Non c’è bisogno di fare ricerche, è sotto gli occhi di tutti: Facebook e Twitter sono pieni di gente che si lamenta. Ma perché tante condivisioni di tweet e status che trasudano rabbia o indignazione? E perché i messaggi “positivi” sono in netta minoranza e attirano meno attenzione?

Forse è dovuto alla crisi? In fondo l’esplosione dei Social in Italia è coincisa proprio con l’arrivo della peggiore depressione del dopoguerra. Condividere insulti contro la "kasta" può essere una distrazione e una valvola di sfogo per la frustrazione e la paura di questi tempi bui.

Sicuramente la triste situazione economica ha il suo peso, ma il fatto è che lamentarsi è terapeutico, è catartico. Ed è anche una nota strategia vincente: "chiagni e fotti", dicono a Napoli. E quella contemporanea è stata definita dal sommo Robert Hughes la cultura del piagnisteo, in cui tutti fanno a gara per recitare il ruolo della vittima di un qualche abuso o ingiustizia, non di rado immaginari.

Chi si lamenta attira attenzione e simpatie; se è bravo, può addirittura fondare un movimento politico. In fondo la Rivoluzione Francese non è cominciata dai cahiers de doléances?

La felicità, invece, irrita. Non c’è nulla di più fastidioso che trovarsi accanto qualcuno di buon umore, quando noi non lo siamo; cosa avrà mai da essere tanto allegro, poi? Dev’essere sicuramente un idiota o un pazzo. E, si sa, non c’è vendetta peggiore del mostrarsi felici ai propri nemici. L’uomo oculato non ostenta mai la sua fortuna: piange miseria e finge disperazione, anche quando sta benissimo. Non si sa mai, meglio essere scaramantici.

La felicità è da stupidi. Chi pubblica sulla propria bacheca aforismi ottimistici e foto pucciose è sicuramente un deficiente e un insensibile. Con tutti i problemi e le tragedie che ci sono in giro come si fa a essere felici e ottimisti? Giornalisti, intellettuali e perfino i tassisti lo ripetono di continuo: il declino è inevitabile, la catastrofe incombe, lo sfacelo è imminente. Viviamo in tempi apocalittici, in cui sembra che tutto debba crollare da un momento all’altro. 

E poi le persone felici sono così egoiste e arroganti! Chi empatizza con le sofferenze degli indios della Papa Nuova Guinea o con la triste sorte dei topiragni del Madagascar, invece, è un animo nobile e generoso. Empatizzare con le sfighe del proprio vicino di casa è invece degno dei santi: più qualcuno ci sta vicino e più ci sta sulle scatole.

C’è poco da fare: questa è l’età delle Cassandre vestite di nero, e se vi sentite invece delle variopinte Polyanne fatevene una ragione e simulate tristezza, memori della sentenza immortale di Fernando Pessoa, tristerrimo anch’esso: “Mi irrita la felicità di tutti questi uomini che non sanno d’essere infelici. La loro vita è piena di tutto ciò che sarebbe angoscioso per una sensibilità vera. Ma poiché la loro vita è vegetativa, quello che subiscono passa loro accanto senza toccarli intimamente. Vivono con la fortuna di non accorgersene. Per questo, comunque, vi amo tutti: miei cari  vegetali!”

sabato 26 Aprile 2014

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